Il dio del lavoro si è suicidato

La congiuntura attuale rappresenta per tutti la crisi della crescita esponenziale (che viene vista come naturale e inevitabile) e del lavoro. Alla base delle cause che vengono comunemente valutate, c'è un grande fraintendimento storico sul significato della parola lavoro.

Lavoro lavoro lavoro!
Per risolverla quindi, il lavoro prima di ogni altra cosa e la crescita prima di tutto. Mi ha stupito come questo modo di ragionare stia attraversando tutto il pianeta e sia diventato ormai opinione comune, indiscussa e condivisa da tutti. Dall'operaio al manager, dal disoccupato al prete, la pensano tutti allo stesso modo, bisogna continuare a crescere e lavorare di più, perché smettere di farlo significherebbe il collasso economico globale, il cannibalismo tra nazioni, o peggio, la morte dello shopping!

Ora et labora
Per quanto riguarda l'Europa, la concezione odierna e distorta del significato che si dà alla parola lavoro, affonda le sue radici nel medioevo. Dopo un po' di battibecchi su chi dovesse comandare, il patto segreto tra la religione e il potere stabilì che la prima inculcasse nella gente lo spirito di sacrifico, mentre il secondo lo utilizzasse per arricchire entrambi. Per realizzare questo dispositivo sociale, il concetto di sofferenza ha avuto un ruolo centrale ed importantissimo: la sofferenza al fine di una ricompensa è uno dei fondamenti della cultura cattolico/capitalistica, vivere e lavorare soffrendo è cosa giusta. L'uomo cattolico nasce già peccatore, per ciò egli è condannato ad ottenere vantaggio dal proprio lavoro soffrendo. Egli si giustifica sentendosi martire, come Gesù sente che la sua sofferenza è giusta e legittima, perché servirà il bene comune.
Il lavoro dei più poveri, ieri come oggi, consiste quindi in un orgoglioso soffrire in silenzio, avendo fede di ottenere dopo la morte (o alla fine del mese) la giusta ricompensa.

Diventando borghesi
A partire dal diciannovesimo secolo l'impoverimento strategico di zone rurali già povere, favorisce in maniera sempre più massiccia lo spostamento della gente verso le città e quindi le fabbriche. L'uomo comune, che viene tentato dal denaro e dalla proprietà, accetta (oltre alla promessa di una fetta della nuova ricchezza che si sarebbe andata formando) di barattare l'orgoglio e la terra con i comfort tecnologici.
Qualche ingenuo prova a dire: "potremmo dividerci tutto in parti uguali!", da qui in poi l'unico investimento del capitalismo (al di fuori di quello votato alla crescita esponenziale della produzione e del profitto) sarà atto a distruggere qualsiasi esperimento sociale, economico o politico che punti verso quella direzione. A prova di questo, verranno sistematicamente esclusi dal mercato mondiale, tutti gli imprenditori e i paesi che dimostrino una qualche inclinazione in tal senso.
Naturalmente la ricchezza non arriva per tutti gli immigrati dell'urbanesimo, comincerà quindi la lunga stagione delle lotte sociali, che inizialmente ebbero luogo per il miglioramento dei diritti civili e lavorativi, ma a poco a poco si orienteranno sempre di più verso il denaro come "unico regolatore di tutti i valori simbolici". Insomma, non voglio essere collocato dove mi spetta e non mi importa di come vengo trattato sul lavoro, voglio solo più denaro.

Il datore di lavoro è un semidio
Nella chiesa del lavoro qualcosa si può sperare di ottenere, ma con estrema umiltà e senza chiedere, perché chiedere ciò che è dovuto è da persone ingrate, avide e meschine. Bisogna aspettare pazientemente che tutto venga elargito dal dà-tore di lavoro (che per inciso, quasi sempre, di lavoro non ne , semmai prende quello degli altri e lo sfrutta per arricchirsi).
Egli inoltre, raccontando a tutti di essere partito dalla povertà e di aver sofferto tanto, rappresenta un modello. Si crea il mito del semi-dio ricco, i dipendenti asserviti aspirano tutti a diventare bonari e panzuti come lui.
Il lavoro diverrà presto il principale traguardo dell'esistenza per tutti, la premessa imprescindibile per essere socialmente accettati. Fino a giungere al punto in cui, nella morale comune, chi non lavora non viene giudicato degno di alcun diritto. I privilegi che derivano dal lavoro inoltre, sono esteriori e tangibili, avviene così, che nelle città, la divisione tra borghesia e povertà diverrà molto netta. Con grande vantaggio per il potere, cominciano a formarsi due schieramenti contrapposti: gli aspiranti borghesi (i poveri) e gli aspiranti ricchi (i borghesi). Proprio come il popolo, l'informazione si assoggetta mentre si modernizza, fa la sua comparsa la manipolazione mediatica organizzata. Lo scopo di questa, è convincere i due schieramenti che l'ostacolo per scalare la piramide sociale è l'altro, nasce la lotta di classe.

Timidi accenni al signoraggio
Agli albori della rivoluzione industriale, il capitalista mirava a riprendersi quasi tutto il denaro che dava agli operai, una parte di questo finiva negli affitti delle case, il resto si contava di recuperarlo semplicemente rivendendo alla gente la medesima merce che essa stessa produceva, ma (crisi da sovrapproduzione a parte) già da subito si notò che una parte della moneta circolante tendeva a disperdersi. La prima fase del capitalismo finanziario servì quindi a collaudare il sistema, la quantità di denaro in circolazione doveva mantenersi il più stabile possibile, perché tutto fosse sotto controllo. Verso la metà del novecento, la produzione di massa cresce enormemente influenzando questo sistema, la seconda fase consistette quindi nel calibrarlo. Bisognava creare le premesse per il debito, cercando di evitare che troppa parte della ricchezza reale (cioè quella prodottasi dal lavoro delle classi meno agiate) finisse nelle tasche sbagliate. Per fare ciò, le banche immisero grandi quantità di denaro nell'economia (un metodo "valido" ancora oggi). La ricchezza circolante sembrava fuori controllo, tant'è che una parte di questa passò inevitabilmente ai cittadini e questi, possedendo denaro credettero (come fanno sempre) di essersi arricchiti.
La felicità generale segnò il passo al periodo storico del cosiddetto "boom economico". A conti fatti però, carabattole tecnologiche a parte, nell'arco di due generazioni venne concesso ad alcuni, di divenire proprietari della casa di fianco alla fabbrica dove lavoravano. Per tutti gli altri, esisteva (allora come oggi), invece che il diritto ad una casa propria, "il beneficio sociale e usuraio dell’affittanza delle camere".
Nella terza fase si taglia la produzione del denaro, poi si attende che quello in circolazione si deteriori e come qualsiasi altra merce, scompaia.
Nella quarta fase il capitale finanziario torna a chiedere il conto, ma il controvalore monetario (com'era previsto) non esiste più. Si crea così il debito moderno, grazie al quale le banche cominciano a vampirizzare tutto l'esistente. La realtà è che al capitale finanziario non interessa affatto il denaro, lo scopo delle banche quando prestano soldi, è quello di rallentare o rendere il più complicato e difficoltoso possibile il saldo del debito, ed è proprio per questo che risulta molto ingenuo o malizioso chi pensa che la burocrazia in questo settore, sia un problema di efficenza e non una strategia accuratamente pianificata sin dall'inizio. Lobbismo politico, omissioni, ritardi strategici, menzogne, usura, manipolazione delle leggi, è tutto lecito: una volta inceppato il meccanismo, scatta il bulldozer inarrestabile del pignoramento dei beni (che è la premessa reale di tutto il sistema).
Il denaro è solo un veicolo del debito che i potenti non hanno mai toccato o utilizzato personalmente, perché lo considerano (ed a ragione) sporco.
Le banche non sono altro che le roccaforti vuote, tramite le quali, le cosiddette discipline finanziarie moderne, realizzano il loro unico obiettivo, quello di rendere i debiti insolvibili, per poi annettersi tutta la ricchezza reale venutasi a creare dal lavoro fisico.
Grazie a questo meccanismo collaudato, si producono pezzi di carta e metallo che hanno un valore fittizio (proprio perché volutamente instabile, arbitrario e temporaneo) e si convertono in proprietà che hanno un valore reale, in quanto molto più stabile e duraturo (ad es. edifici, materie prime, mezzi di produzione). 

La propaganda diventa pubblicitaria
Nella prima parte dell'urbanesimo (inizio del XX secolo), parte del retaggio culturale contadino sopravvisse alla vita di città, i poveri erano ancora diffidenti riguardo alle banche e al consumo di merci inutili.
Dopo la seconda guerra mondiale quindi, per incentivare i consumi e il risparmio, il linguaggio subdolo e menzognero della propaganda di guerra, si riconvertì e fece la sua comparsa la comunicazione pubblicitaria. I cosiddetti persuasori occulti fecero ogni sforzo possibile per incentivare il consumo indiscriminato di merci e far credere a tutti che le banche fossero i posti più sicuri ed accoglienti dove riporre i sigilli esoterici del proprio lavoro. Dopo la guerra la situazione si rafforzò ulteriormente, grazie alla ripresa e a una certa sindrome psicologica da accumulo, derivante dalle grandi privazioni subite dalla gente durante il periodo bellico.

La pace dopo la guerra è il vero affare
Ogni qual volta si è detto che la guerra è un grande business si è sempre spostato il punto di vista dove più conveniva, ma la verità che non troverete sui libri di storia, è che la guerra non è un grande business mentre succede, le guerre di solito sono solo enormi costi. La Germania ad esempio, ridotta al collasso com'era, non avrebbe mai potuto affrontare da sola l'immane costo per la produzione di armi che gli sarebbero servite per invadere il mondo. La seconda guerra mondiale non è stato il tentativo fallito della Germania di conquistare il mondo, ma il tentativo riuscito dei banchieri (ebrei) americani di ottenere lo stesso risultato.
La guerra si rivela essere un grande affare sempre dopo che i giochi sono finiti, la prima cosa che viene ricostruita sulle macerie distrutte di un paese dilaniato dalla guerra non è una panetteria, ma, di solito, è una banca...e a costruirla non è certo il paese che ha perso.

La crescita è benessere
Tra gli anni cinquanta e sessanta la televisione, gli alcolici e le sigarette diventano i fattori principali che contribuiscono a creare il rincoglionimento generale che dura tutt'oggi. I giovani fiutano il trucco, allora li si stuzzica nel loro ego di anticonformisti. La città unisce i lavoratori, ma i muri dividono gli esseri umani, nasce il consumatore individualista e compulsivo, eroina e jazz la fanno da padroni. Nei decenni a seguire cambia l'abbinamento musica/droga, ma il lavaggio del cervello dedicato ai più giovani, rimane ancora oggi lo stesso: illuderli di essere consumatori fuori dal sistema.
Ed eccole qui finalmente, sono già i posti più brutti e inquinati dove si possa vivere sul pianeta, le città. Man mano che il degrado e la lotta di classe aumentano, il capitalisti, spostano le proprie abitazioni verso il perimetro esterno di esse, creando aree residenziali lontane da delinquenza e possibili rivolte sociali.

Il lavoro è dio
Oggi, nell'Olimpo politeistico della nuova religione capitalista, anche il lavoro trova il suo posto. É un vecchio dio minore, degradato e disperato per aver perso il suo potere. Nella ricerca vana di ritornare al suo vecchio lustro, egli farnetica minacce. Infine, in preda al delirio, prende una saetta di suo padre Zeus (il profitto) e se la punta alla testa dicendo "mi uccido! Se non mi ridate il potere che avevo mi uccido!". Gli Dei sorridono brilli come sempre e non lo prendono troppo sul serio, ma più in basso, tutti i mortali corrono ai templi per sacrificare ciò che hanno di più caro, al dio Lavoro, la loro dignità. Ed è questo il sacrificio che ha richiesto il lavoro alla maggior parte della gente negli ultimi anni, ma neanche questo è bastato a tenerlo in vita.

La morte del lavoro genera il caos
Avviene in fine che il dio Lavoro si suicida e la morte del lavoro in una società iper-capitalistica che dipende pesantemente dalla produzione, genera il caos.
Oggi ci sarebbero intelligenza e avanzamento tecnologico sufficienti per poter vivere tranquillamente e lavorando tutti il meno possibile, ma chi comanda sa che la crescita demografica sarebbe fuori controllo, quindi bisogna creare tensione sociale, guerra (nei paesi poveri) e fobia del debito (nei paesi ricchi) quest'ultimo dispositivo fa si che ognuno di noi corra in giro come un'ape cieca senza alveare, alla ricerca di un ruolo subordinato e servile. Ed è proprio questa la vera crisi dietro la finta crisi mondiale, il lavoro inteso come primo regolatore degli equilibri sociali di classe è venuto a mancare. Quella che invece pensiamo di stare vivendo, il disfacimento dell'economia, non è che lo stand-by del sistema. La depressione viene inoculata nel sistema per metterlo in pausa, mentre i potenti si autoaffidano l'arduo compito di re-inventarsi nuovi regolatori di quegli equilibri sociali che si sono spezzati.
I metodi sono diversi, quelli già citati (la guerra e la fobia del debito) ma anche fomentare il razzismo tra paesi, favorendo immigrazioni di massa indiscriminate (e spacciandole tutte per immigrazioni di profughi) quest'ultimo non è che il tentativo maldestro di arginare un problema generandone uno più grosso... e sta sfuggendo di mano.
Nel frattempo però la situazione peggiora, la vita si appiattisce, tutti si sentono come se fossero congelati nell'ambra del tempo. Senza il dio Lavoro la gente si sente perduta, senza il gradino più basso da cui partire, l'arrampicata sociale risulta impossibile. Il mondo è pieno di miele, ma l'alveare è sempre più piccolo e all'esterno, c'è il campo di concentramento psicologico dell'ostracismo sociale. L'alveare è difeso da un mostro che brucia le vite, il drago che con la sua presenza terrorizza tutti, la disoccupazione.

Ma basta filosofare! La filosofia non si mangia!
Grazie al dio lavoro invece mangiano tutti, ma solo finché hanno i soldi per pagare. Le mele non si colgono più dagli alberi, l'acqua non si beve più dai fiumi, il divertimento non arriva più spontaneo. Nella società mercantile tutto si paga e se non ha un costo, non ha valore e se non ha valore non vale neanche la pena discuterne. Tutto è merce e debito, quindi ha senso parlare di qualcosa o di occuparsene, soltanto se questa genera profitto (per i ricchi) o promette di generarne (per gli aspiranti tali) cioè tutti gli altri.

Fisica del lavoro
Il profitto prima di tutto quindi, profitto che si genera sempre dal debito. Siccome l'energia non si crea e non si distrugge, se il debito non è il mio, è il tuo per forza. Mors tua vita mea.
Il lavoro è la condizione di ricatto sociale attraverso la quale poter acquistare il debito altrui, i pezzetti di carta e di metallo che servono per comprarsi una vita nuova che non arriverà mai. 
Ecco come funzionava il giochetto che si pensava avrebbe funzionato per sempre: durante e dopo le guerre si generava povertà, sulla terra bruciata rimasta spuntava qualche banca e ricominciava la grande magia dei pezzetti di carta e metallo. La formula ciclica crescita-debito-lavoro-guerra-crescita-debito etc. sembrava perfetta, ma non ha funzionato.
É accaduto che epidemie e guerre di fanteria sono sparite, il capitalismo ha messo una marcia in più, trasformandosi in turbocapitalismo, ed ha cominciato a fagocitare ogni cosa: risorse, energia, vite, spazio, tempo. Come un gigantesco buco nero ha cominciato a divorare tutto, ma per poter digerire l'esistente, questo mostro doveva trasformarlo in un prodotto vendibile. Nella deformazione più assurda della realtà odierna, ad un certo punto egli ha cominciato a divorare anche una parte di se, il lavoro, trasformandolo in un oggetto vendibile (reificazione).

Fisiologia gastrodigestiva del turbocapitalismo
Il lavoro era però un organo vitale del mostro, il suo intestino e dal momento che la bestia ha cominciato a divorarsi dall'interno, qualcosa ha smesso di funzionare.
Prima dell'avvento delle nuove tecnologie di produzione, della medicina moderna e di quel po' di diritti sul lavoro che la gente è riuscita a strappare al potere (e non senza morti per strada) la situazione demografica nelle città, era più contenuta. Senza contare epidemie e guerre mondiali, il lavoro nelle fabbriche era dannoso per la salute e uccideva la gente in età relativamente giovane. Con quel po' di diritti che si è riusciti a conquistare e dopo il boom economico degli anni sessanta, il lavoro ha cominciato a produrre più "benessere" che danni, la gente comune ha cominciato cioè a prosperare troppo. Oggi siamo tutti al caldo, imbottiti di cibo, conservanti e antibiotici, il nostro corpo invecchia ma non ne vuole più sapere di morire. Guerre, epidemie o condizioni lavorative disumane, erano purghe demografiche perfette, ma oggi la situazione nelle città è diventata critica. Il mostro continua a mangiare sempre di più, ed essendo arrivato a divorare una di quelle parti di se che gli serviva per digerire, rischia la morte per costipazione.

Nel grande supermercato del lavoro il prodotto sei tu
Il lavoro rimane invenduto, come l'ennesima merce sugli scaffali del grande supermercato che è diventata la vita.
C'è chi lavora gratis nella speranza di ottenere un lavoro, chi investe i propri risparmi per lavorare, chi si indebita per tutta la vita per cominciare il percorso di studi che promette più possibilità di lavoro, chi rischia o perde la vita, chi ucciderebbe, chi deforma, amputa, regala o mette in vendita il proprio corpo, chi si umilia e si denigra quotidianamente, tutto nella speranza di ottenerlo o conservarlo.
Che dire, Sembrano proprio gli ultimi passi della via crucis di questa vecchia religione sociale che è il capitalismo.

Ma basta denigrare tutto, se non hai niente utile da proporre stai zitto!
Non sia mai che qualcuno rilegga tutto questo tra cento anni e si renda conto che emigrare su Marte per trasformare anche quel pianeta in una triste discarica umana e ambientale, non sarebbe un'idea poi così geniale.
C'è stato un tempo in cui forse, un uomo che si arricchiva col lavoro altrui poteva vivere nel lusso, e cioè, tra il terrore di essere derubato delle sue proprietà e lo sfoggio costante e sterile delle stesse. La questione odierna è però molto semplice, lo spettacolo è finito! I poveracci han mangiato la foglia e i potenti devono inventarsi un modo nuovo di ingannarli e sfruttarli. Come abbiamo visto, per metterli gli uni contro gli altri basta favorire le immigrazioni di massa e fomentare l'odio con il solito vecchio razzismo, ma c'è troppo cibo in giro, pare che anche così, non arrivino ancora ad ammazzarsi a vicenda. Quindi, nello stesso modo in cui oggi nessuno andrebbe più a combattere corpo a corpo in una guerra, stanno diventando sempre di meno, le persone disposte a uccidersi a vicenda o a farsi sfruttare dieci ore al giorno per guadagnare una miseria. Dislocare il lavoro nelle zone di povertà o crearne di apposite ancora funziona, ma solo finché i poveri di quelle zone, non diventeranno tutti un po' più ricchi e istruiti (quindi borghesi) a quel punto nessuno sarà più disposto a farsi calpestare. Il principio è semplice: Seppur in maniera lenta (ma comunque costante) la sovrapproduzione sta rendendo tutta la popolazione del pianeta progressivamente più ricca, quindi le possibilità per il capitale di sfruttare i più poveri stanno diminuendo in maniera inversamente proporzionale, per capirlo basta pensare all'evoluzione più recente dell'economia cinese.

Requiem per il lavoro
Oggi è morto il più grande alleato della religione mercantile. In sostanza bisogna rendersi conto che il modello capitalistico è alla fine e che il lavoro, così come lo conoscevamo, è morto. Possiamo continuare a praticargli il massaggio cardiaco e rianimarlo, di quando in quando, ma questo non significa che ci sia ancora speranza, mettiamoci una pietra sopra, il lavoro, come lo conoscevamo, è morto.

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